di Federica De Nunzio, psicologa-psicoterapeuta, terapeuta EMDR.
Definita per la prima volta in ambito giuridico nel 2007 nella “Ley Orgánica sobre el Derecho de las Mujeres a una Vida Libre de Violencia” del Venezuela come “appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario, che si esprime in un trattamento disumano”, la violenza ostetrica è entrata progressivamente nell’agenda politica internazionale.
E mentre si inquadra il problema a livello mondiale e si cercano forme di tutela sempre maggiori, in Italia non esiste ancora una legislazione in materia e neanche una raccolta dati ufficiale. Durante la Sessione Autunnale 2019 il Consiglio d’Europa ha adottato la Risoluzione 2306/2019 chiedendo agli Stati membri di assicurarsi che l’assistenza alla nascita venga fornita nel rispetto dei diritti e della dignità umana e qualificando la violenza ostetrica nel quadro normativo della Convenzione di Istanbul – di cui anche l’Italia è firmataria. Ma è con il Rapporto annuale presentato lo scorso ottobre all’ultima Assemblea Generale delle Nazioni Unite da Dubravka Šimonović, relatrice speciale sulla violenza contro le donne del Consiglio per i diritti umani, che la violenza ostetrica è stata riconosciuta come violazione dei diritti umani e vera e propria violenza di genere.
La violenza ostetrica si riferisce all’abuso che avviene nell’ambito generale delle cure ostetrico-ginecologiche ad opera di tutti gli operatori sanitari che prestano assistenza alla donna e al neonato (ginecologo, ostetrica o altre figure professionali di supporto).
L’OMS spiega che un numero crescente di studi sulle esperienze delle donne durante la gravidanza, e in particolare durante il parto, dà un quadro allarmante. Si parla di abuso fisico diretto, abuso verbale, procedure mediche coercitive o non acconsentite (inclusa la sterilizzazione), mancanza di riservatezza, carenza di un consenso realmente informato, rifiuto di offrire un’adeguata terapia per il dolore, gravi violazioni della privacy, rifiuto di ricezione nelle strutture ospedaliere, trascuratezza nell’assistenza al parto con complicazioni altrimenti evitabili che mettono in pericolo la vita della donna, detenzione delle donne e dei loro bambini nelle strutture dopo la nascita connessa all’impossibilità di pagare. Inoltre, adolescenti, donne non sposate, donne in condizioni sociali o economiche sfavorevoli, donne appartenenti a minoranze etniche, o donne migranti e donne affette da HIV sono particolarmente esposte al rischio di subire trattamenti irrispettosi e abusi.
Questi trattamenti non solo violano «il diritto delle donne ad un’assistenza sanitaria rispettosa», ma possono anche «minacciare il loro diritto alla vita, alla salute, all’integrità fisica e alla libertà da ogni forma di discriminazione».
Esperienze di questo tipo arrivano a configurare un vero e proprio disturbo post-traumatico da stress (PTSD) Postnatale, il quale si presenta attraverso pensieri intrusivi, incubi e flashback, disturbi del sonno, di concentrazione e memoria, ipervigilanza, irritabilità ed evitamento di tutto quanto correlato all’evento traumatico. Tale sintomatologia può insorgere da pochi giorni a diversi mesi dopo il parto, ed è stata inizialmente associata solo all’esperienza del parto. Il PTSD Postnatale è un disturbo associato a fattori di vulnerabilità individuali e a esperienze di rischio post-traumatico, incluse: gravidanze a rischio, travagli prolungati, complicazioni durante il parto, gravi condizioni di salute dei bambini alla nascita, perdite perinatali.
Il PTSD Postnatale compromette in maniera rilevante la qualità degli scambi affettivi madre-bambino; l’individuazione precoce dei fattori di vulnerabilità individuale e dei sintomi post-traumatici potrebbe contenere la sofferenza psichica delle donne, sostenere la qualità della relazione madre-bambino nonché tutelare il benessere di tutta la famiglia.
In Italia nel 1972 alcuni collettivi femministi di Ferrara promossero la campagna “Basta tacere” a cui parteciparono decine di donne che raccontarono le loro storie di abusi e maltrattamenti durante il parto o la gravidanza. Alcuni di quei racconti finirono in un opuscolo che venne stampato e ristampato a mano dalle promotrici in migliaia di copie. Nell’aprile del 2016 quella campagna è stata rilanciata per iniziativa di alcune attiviste e con il sostegno di decine di associazioni. La campagna, su Facebook, è stata chiamata come quella degli anni Settanta: “Basta tacere” e in pochi giorni ha raccolto spontaneamente le testimonianze di migliaia di donne che hanno raccontato e descritto le loro esperienze di abusi e maltrattamenti. Da questa recente campagna è nato infine l’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica (OVOItalia) con la finalità di raccogliere dati e storie e di rendere visibile un fenomeno poco conosciuto e riconosciuto dalle donne stesse. Su commissione dell’Osservatorio è stata condotta l’indagine nazionale Doxa “Le donne e il parto” che ha permesso di ottenere dei dati significativi.
L’indagine per l’Osservatorio è stata condotta su un campione rappresentativo di circa 5 milioni di donne italiane di età compresa tra i 18 e i 54 anni con almeno un figlio di meno di 14 anni. I dati dicono che per 4 donne su 10 (41 per cento) l’assistenza al parto è stata lesiva della loro dignità e integrità psicofisica.
In particolare la prima esperienza negativa vissuta durante la fase del parto è risultata la pratica dell’episiotomia, subita da oltre la metà (54 per cento) delle donne intervistate. L’episiotomia è un’incisione chirurgica del perineo, l’area compresa tra la vagina e l’ano, praticata durante il parto per allargare l’apertura vaginale quando la testa del bambino comincia ad affacciarsi verso l’esterno. L’OMS la definisce una pratica «dannosa, tranne in rari casi». In Italia 3 partorienti su 10 negli ultimi 14 anni (cioè 1,6 milioni di donne e il 61 per cento di quelle che hanno subito un’episiotomia) hanno dichiarato di non aver dato il loro consenso informato per autorizzare l’intervento. Il rischio di un’episiotomia sono dolori post partum, la difficoltà che può durare anche settimane prima di riuscire a sedersi e a camminare normalmente e, infine, problemi e dolore nei rapporti sessuali dopo il parto.
La pratica delle episiotomie in Europa è molto varia da paese a paese: 70 per cento in Polonia, Portogallo e Cipro, 40-50 per cento in Belgio e Spagna, tra il 16 per cento e il 36 per cento in Francia, Germania e Svizzera, 13 per cento nel Regno Unito, 5-7 per cento in Danimarca, Svezia e Islanda. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia l’episiotomia viene praticata nel 60 per cento dei parti naturali, con medie che al sud arrivano anche al 70 per cento. Molto lontane da paese a paese sono poi le cifre che hanno a che fare con il ricorso ai cesarei. Secondo i dati del ministero della Salute, nel 2015 in Italia il 34,1 per cento dei bambini è nato con parto cesareo, mentre tra i paesi europei il tasso medio è inferiore al 25 per cento. Come dimostrano le percentuali registrate negli altri paesi europei, quella dell’incisione e del cesareo sono dunque in alcuni casi delle necessità, ma altre volte delle scelte.
Nel 2016 è stata presentata la ricerca Optibirth condotta in otto paesi dell’Europa, compresa l’Italia, da un gruppo di operatori, in gran parte ostetriche e poi ginecologi, epidemiologi e statistici con l’obiettivo di contrastare l’inarrestabile aumento dei tagli cesarei, anche attraverso l’aumento di parti naturali dopo il cesareo (VBAC). Il presupposto era di realizzare un modello basato sulla centralità della donna, sull’autonomia delle sue scelte in quanto un cesareo non necessario o una cattiva informazione sulle proprie possibilità di scelta rientrano nel concetto di violenza ostetrica. Così come non è un obbligo per la donna assumere durante il travaglio la posizione standard invece di quella che preferisce, in modo da assecondare il più possibile la fisiologia del parto. Aldilà del grande sforzo innovativo e delle notevoli resistenze che dovunque ha incontrato, lo studio Optibirth ha segnato una svolta nella promozione della normalità della nascita.
Link utili
Quotidiano sanità 27/01/2017: Fermare l'epidemia dei cesarei
Organizzazione Mondiale della Sanità sulla violenza ostetrica