di Giuseppe Massaro, Psicologo-Psicoterapeuta, Terapeuta EMDR
Di fronte ad una situazione nazionale che non ha eguali nella storia recente, è ormai evidente che l'emergenza sanitaria sia diventata sempre di più anche un'emergenza psicologica. La paura del contagio, l'incertezza sul futuro, la sospensione delle attività didattiche e ricreative, il distanziamento sociale, hanno instillato un crescente senso di disagio e insicurezza nella popolazione giovanile.
Se i capannelli di ragazzi agli angoli delle strade, le risse, i cumuli di bottiglie lasciate nei parchi già nelle ore pomeridiane, sono stati presi come spunto per polemiche su presunti comportamenti irresponsabili dei giovani, tali fenomeni andrebbero più onestamente visti come sintomi di un disagio le cui radici affondano in condizioni ben più antiche e profonde della pandemia (e delle misure di distanziamento), la cui responsabilità è probabilmente quella di aver inasprito una fragilità sociale latente, sbattendoci impietosamente in faccia gli aspetti che meno avremmo gradito vedere.
Un quadro complesso, con pochi dati, ma significativi
Sono aumentati a dismisura i casi di tentati suicidi o di autolesionismo fa notare il direttore dell’Ospedale Pediatrico Meyer, Zanobini. Parallelamente sono aumentati di moltissimo i disagi psicologici: un boom di ragazzi che hanno bisogno di psicoterapia, secondo quanto riferito da associazioni di psicologi. L'impatto socio-sanitario sui giovani, causato dallo stress legato alla pandemia e dalle forti restrizioni che hanno subito sembra dunque essere molto pesante, e forse non se ne parla abbastanza.
La Asl di Teramo ha fatto osservare che "Dall'inizio dell'emergenza sanitaria l'unità di Neuropsichiatria Infantile ha osservato un aumento di circa il 15% delle richieste di aiuto da parte delle famiglie di bambini e adolescenti in stato di difficoltà. In particolare, si è registrato un incremento di diverse forme di disagio: impulsività, iperattività, oppositività, alterazione del ritmo sonno veglia, irritabilità, problemi nelle acquisizioni di lettura-scrittura e calcolo nei bambini; disturbi del tono dell'umore, disturbi ossessivo compulsivi, ritiro sociale, ideazioni suicidarie e disturbi dell'alimentazione negli adolescenti. L'ansia sembra aver inoltre rappresentato la risposta emotiva prevalente in tutte le fasce di età.”
Secondo la Asl abruzzese le motivazioni principali del crescente disagio vanno soprattutto ricercate nella riduzione dei contatti personali con i compagni di classe, gli amici, gli insegnanti, alla mancanza di spazi esclusivi in casa, all'utilizzo eccessivo della rete e alle difficoltà socio-economiche delle famiglie.
In effetti in Italia “circa 9 milioni di bambini e adolescenti sono stati esposti allo scenario emergenziale subendo cambiamenti sostanziali negli ambienti di vita, nelle routine quotidiane e nelle reti relazionali; aspetti che normalmente rappresentano delle risorse e favoriscono la promozione della salute e la resilienza agli eventi traumatici. Di questi circa 7,6 milioni hanno sospeso la frequenza delle lezioni in presenza e le attività educative, sportive, culturali e aggregative di comunità” (Rapporto Covid-19 n.43/2020).
L’adolescenza è già di per sé un periodo particolarmente delicato per il rischio di suicidio e di atti autolesionistici. Ciò è dovuto alla complessità dei compiti evolutivi che i giovani devono compiere in questa fase, mentre l’Io è particolarmente fragile proprio per i cambiamenti a livello di identità che vengono vissuti. Non a caso i giovani investono molto sul corpo, mentre le aree cerebrali più sollecitate sono quelle legate alle emozioni e all’impulsività. Cosa che può portare facilmente a comportamenti poco ponderati, soprattutto nelle loro conseguenze a lungo termine.
Bisogna però essere molto cauti nell'affrontare questo tema. Precisa il Dott. Alfaro, pediatra degli Ospedali Riuniti Stabiesi: "Ad oggi disponiamo di pochi dati in letteratura su un aumento dei tassi di autolesionismo, tentato suicidio, ideazioni o pensieri suicidari nel contesto della crisi da Covid-19; i risultati degli studi sono piuttosto discordanti: mentre uno screening condotto in Texas sul rischio di suicidio in 12.827 giovani dagli 11 ai 21 anni giunti in pronto soccorso ha evidenziato un aumento nel 2020 rispetto agli stessi mesi del 2019, non è stato riscontrato un aumento significativo in ricerche condotte in Giappone, Queensland (Australia), Bangladesh. Un'indagine condotta in Francia sugli studenti universitari di 18-22anni ha dimostrato comunque una preoccupante prevalenza di pensieri suicidari nel periodo pandemico".
E, diversamente da quanto affermato dalla Asl di Teramo, il primario di Neuropsichiatria infantile dell’Asst di Mantova, dottor Giuseppe Capovilla afferma: "Non abbiamo rilevato alcun aumento di fenomeni di autolesionismo tra bambini e ragazzi in questo anno di pandemia. Sono da evitare allarmismi su questo fronte, come pure occorre adottare molta attenzione quando si affrontano temi delicati e complessi come questo, e prudenza quando si parla di suicidi in età giovanile o infantile come mi è capitato di leggere in questi mesi: il rischio è quello di favorire l’emulazione."
Ecco quindi che altre variabili, anche di carattere socio-culturale, entrano in gioco. E non va dimenticato che la famiglia può rappresentare un importante fattore di protezione, sia nel preparare il periodo dell’adolescenza in generale, che, in particolare, nel viverla durante la pandemia. I bambini poi guardano ai genitori, come loro punto di riferimento e come modello per apprendere a gestire le loro emozioni. Si tratta di un apprendimento fondamentale, che porteranno con loro per tutta la vita e che li aiuterà anche in adolescenza. Se il genitore sarà il primo ad essere disorientato, arrabbiato e spaventato, se non riuscirà ad attivare delle risorse mentali mature e stabili di fronte alla pandemia e alle sue conseguenze, difficilmente il figlio potrà apprendere qualcosa di diverso.
L’ineguaglianza della pandemia colpisce anche (o soprattutto) i giovani
Che la pandemia (e le misure di contenimento messe in atto), pur riguardando tutti noi, abbiano avuto effetti impari, colpendo in particolar modo le fasce più deboli e fragili, e i giovani tra queste, è ormai assodato.
Tra i giovani, hanno poi vissuto un disagio più accentuato quelli provenienti da ceti sociali già in difficoltà prima della pandemia o da situazioni problematiche.
"Purtroppo, e i numeri ormai lo confermano, l'impatto non è stato equamente distribuito: hanno risentito maggiormente delle restrizioni i contesti sociali più fragili, quelli dove le relazioni educative erano già fallite o erano sul punto di fallire, dove le famiglie non possono essere un riferimento perché gravemente problematiche” ha affermato il Prof. Bracalenti, dell'Istituto Psiconalitico per le Ricerche Sociali (Iprs).
"Per quanto riguarda la salute mentale dei ragazzi siamo di fronte a un'emergenza – dice Bracalenti – che assume risvolti particolarmente drammatici quando si tratta di minori in carico ai servizi sociali. Anche prima della pandemia il sistema era in grave affanno dal punto di vista del supporto psicologico, a causa di un oggettivo sovraccarico dei servizi. Peraltro, in generale i ragazzi più facilmente degli adulti si rivolgono alle strutture pubbliche, perché c'è una certa resistenza delle famiglie a rivolgersi a professionisti privati. La didattica a distanza può contribuire ad acuire il disagio, lo spaesamento, la solitudine. Per questo sarebbe forse più produttivo pensare seriamente a quali forme di sostegno rendere disponibili per i ragazzi piuttosto che insistere per la ripresa delle lezioni in presenza a tutti i costi, se non ci sono le necessarie condizioni di sicurezza."
La DAD, amore e/o odio
In effetti, nelle situazioni più difficili, il ricorso alla DAD, e le complessità nell’attuarla, possono rappresentare uno stimolo negativo che porta all’abbandono o al disinteresse verso i percorsi formativi, dando vita a fenomeni di progressiva marginalizzazione poi difficili da recuperare.
È innegabile che, come Paese, non fossimo pronti a un passaggio così repentino a tali strumenti e modalità pedagogiche, e ciò sia da un punto di vista tecnologico che culturale. Ma le conseguenze della DAD, o meglio di una DAD attuata in fretta, possono essere più ampie e pervasive oltre alla dispersione scolastica (il cui rischio secondo il Censis ammonterebbe a oltre il 10%).
Maria Cristina Gori, neurologa e psicoterapeuta, afferma: "Le conseguenze psicologiche della DAD sono note solo in parte, ma sappiamo già che in alcuni casi possono compromettere l'apprendimento degli studenti. Pensiamo ai bambini con disturbi specifici dell'apprendimento, con disturbi visuospaziali o disfunzioni esecutive".
Ma, come accennavamo, il vero problema non sarebbe la DAD di per sé, quanto la disponibilità dei mezzi necessari e le modalità con cui viene attuata. Secondo l'esperta l'errore maggiore che si tende a fare con la DAD sta nella difficoltà ad adattarsi al nuovo strumento. "Le modalità classiche di apprendimento - spiega- non possono essere applicate alla DAD perché queste non permettono una sufficiente attenzione da parte degli studenti. I metodi più funzionali sono la 'classe capovolta', ribaltando il sistema tradizionale che prevede un tempo di spiegazione in aula da parte del docente, una fase di studio individuale da parte dell'alunno a casa e successivamente un momento di verifica e interrogazione nuovamente in classe. Può essere utile per gli insegnanti affidarsi alla narrazione di storie in modo da recuperare l'umanità; inserire il public speak come competenza da dimostrare online; sottolineare perché si spiegano certi argomenti oggi: non investire sul mezzo ma sulle caratteristiche personali", suggerisce Gori. Quindi maggior coinvolgimento emotivo, meno rigidità, più ricerca di umanità e di senso, sviluppo di competenze individuali “altre”.
Come alle famiglie, anche un po’ agli insegnanti si chiede però di trasmettere speranza per il futuro.
È importante che tutti impariamo a non identificarci totalmente con le nostre emozioni negative e con la paura. Si tratta di un insegnamento importante per noi e stessi e soprattutto per i ragazzi, perché determinerà come impareranno ad affrontare le difficoltà della vita. E si insegna molto di più con l’esempio che con le parole.
A noi adulti sta dunque la responsabilità di trasmettere il messaggio che il virus non è per sempre, che questo momento è una sfida, e di farci testimoni della forza e della gioia di vivere, nonostante tutto.
I ragazzi sono coloro che sul piano epidemiologico rischiano meno, ma, al netto delle polemiche sul loro rispetto delle regole, si sono sacrificati per i nonni e i genitori. E forse vanno anche un po’ ringraziati e sostenuti.