di Federica De Nunzio, Psicologa-Psicoterapeuta
La nascita di un bambino rappresenta una vera rivoluzione nella coppia, la quale è costretta a riorganizzarsi e a fissare nuove regole, nuove priorità e nuovi obiettivi. Si passa dall’essere compagni al ruolo di mamma e papà, e frequentemente accade che uno o entrambe i partner abbiano difficoltà a ritrovarsi come uomo e donna.
Per non parlare delle trasformazioni che avvengono a livello personale, nella percezione di sè. Per molte donne avere un bambino rappresenta il più grande e sconvolgente cambiamento fisico, emotivo e sociale che abbiano mai avuto.
Le sensazioni emotive che si possono provare sono infinite: ci si può sentire felici, entusiaste, estremamente protettive, ma anche arrabbiate, spaventate, confuse, inadeguate; e a volte queste sensazioni si possono alternare.
Esistono molti pregiudizi irrealistici legati alla maternità, come:
Se queste aspettative vengono deluse molte mamme si sentono in colpa e non riescono a considerare quanto possa essere complesso, faticoso e stressante il ruolo di madre.
Anche il papà, dal suo canto, vive l’esperienza della gravidanza e della nascita del bambino in modo diverso dalla donna, la quale può sentirsi già molto legata al bambino per il fatto di averlo portato in grembo per nove mesi. Per il papà invece il parto è l’inizio, è questo il momento in cui avverte chiaramente la presenza del piccolo per la prima volta, per cui le responsabilità e i cambiamenti di comportamento e di umore della partner possono essere uno shock inaspettato.
La nascita di un figlio può comportare l’insorgenza nella madre di disagi psicologici che variano per frequenza e intensità, e, come evidenziato da molteplici ricerche, effetti a breve e a lungo termine sulla salute della madre, sulla relazione madre-bambino, sullo sviluppo del bambino, e sulla salute del padre.
Di solito si tratta di quadri sintomatici a base ansioso-depressiva che possono assumere forme relativamente poco allarmanti o in alcuni casi forme decisamente più preoccupanti. Fra essi distinguiamo il baby blues (o maternity blues), una condizione di disagio interiore caratterizzata da tristezza, facilità al pianto, irritabilità, ansia, aumentata sensibilità, confusione mentale, affaticamento, disturbi del sonno e dell’appetito, che può riguardare fino al 70% delle donne.
Inizia durante i primi due o tre giorni dopo il parto e si risolve di solito nella settimana successiva, per cui non necessita di alcun trattamento se non comprensione e sostegno da parte della famiglia. Tuttavia, diversi studi affermano che le donne che presentano baby blues hanno una probabilità maggiore di sviluppare una depressione maggiore nei mesi successivi. Risulta quindi fondamentale prestare attenzione ai primi segnali di malessere e monitorarne l’andamento al fine di intervenire velocemente qualora la situazione dovesse aggravarsi.
Decisamente più grave e rara è invece la psicosi puerperale, con una prevalenza che può variare dallo 0,1 allo 0,2% Le donne con psicosi postparto spesso appaiono confuse, hanno gravi sbalzi d’umore, comportamenti irregolari, deliri (convinzioni insolite) e allucinazioni (percezioni strane). Il trattamento in genere comporta il ricovero ospedaliero, cura con farmaci e aiuto nel prendersi cura del bambino. È probabile che si ripeta anche con le successive gravidanze ed è quindi opportuno una consulenza per assistere i genitori nella pianificazione delle future nascite.
Il disturbo post-traumatico da stress postnatale si presenta attraverso pensieri intrusivi, incubi e flashback, disturbi del sonno, di concentrazione e memoria, ipervigilanza, irritabilità ed evitamento di tutto quanto correlato all’evento traumatico. Tale sintomatologia può insorgere da pochi giorni a diversi mesi dopo il parto, ed è stata inizialmente associata solo all’esperienza di parto traumatico (tra cui nascita di un bambino morto, morte perinatale, parto prematuro).
Ad oggi, invece, gli studiosi concordano nel ritenere il parto un’esperienza stressante e traumatica in sé (circa il 30% delle donne valuta il proprio parto come traumatico, si pensi alla violenza ostetrica) e anche in situazioni di parto fisiologico con gravidanza a termine e in assenza di problemi di salute nel bambino e nella madre, le neo-mamme possono sviluppare un disturbo post-traumatico da stress vero e proprio o sintomi sotto-soglia. I sintomi, se non riconosciuti e trattati, possono persistere per mesi e prendere la forma di una depressione vera e propria.
La depressione post partum (DPP) o depressione puerperale è una forma di depressione clinica che si manifesta nei mesi successivi al parto e rappresenta, per caratteristiche cliniche e statistiche, la più rilevante complicanza psichica relativa al puerperio. Dal punto di vista clinico, i sintomi sono gli stessi del disturbo depressivo: umore depresso e anedonia, accompagnati da perdita o aumento di peso, insonnia o ipersonnia, agitazione o rallentamento psicomotorio, incapacità di concentrazione, sentimenti di colpa, pensieri suicidari, tentativi di suicidio. Si parla di DPP se l’insorgenza del disturbo avviene nelle prime 4/6 settimane dopo il parto e se sono presenti almeno 4 dei seguenti sintomi per un periodo superiore alle due settimane:
RIGUARDO AI SENTIMENTI:
RIGUARDO ALLE AZIONI:
RIGUARDO AI PENSIERI:
Per molte donne è difficile riconoscere di avere bisogno di aiuto, e se lo fanno si vergognano perché non riescono ad affrontare con serenità e senza problemi un momento che sono convinte debba essere il più felice della loro vita.
Tuttavia, la depressione post partum è molto più comune di quanto si pensi, e, se non trattata, può evolversi in depressione cronica o ripresentarsi nelle successive gravidanze con importanti ripercussioni sull’intero nucleo familiare.
Riconoscere tempestivamente i segnali di disagio emotivo porta ad una migliore risoluzione dei sintomi e degli effetti negativi sulla famiglia.