di Sara Bernardi, musicoterapeuta
La prevalenza dei tre principali disturbi del comportamento alimentare (anoressia nervosa, bulimia nervosa e disturbo da alimentazione incontrollata) è in pericoloso aumento.
Nell’ultimo ventennio abbiamo assistito ad un’impennata di casi tanto che, negli Stati Uniti, le associazioni mediche che si occupano di disordini alimentari non esitano a definirli una vera e propria epidemia che attraversa tutti gli strati sociali e le diverse etnie. Secondo la American Psychiatric Association sono la prima causa di morte per malattia mentale nei paesi occidentali.
Tali disturbi riguardano le problematiche che interessano la relazione fra l’individuo e il cibo, le quali finiscono per causare effetti devastanti sulla persona che ne soffre, sia dal punto di vista fisico che mentale a tal punto da arrivare a causare danni multi-sistemici a carico di diversi apparati, come il gastrointestinale, il cardiovascolare, l’endocrino. Inoltre possono provocare seri danni a reni e fegato e danneggiare denti e gengive. Le donne sono soggette ad amenorrea (nel caso della anoressia) e ad altri disturbi relativi al ciclo; comportano altresì problemi a carico del sistema nervoso causando deficit di memoria, attenzione e concentrazione.
Gli effetti psicologici sono altrettanto devastanti: chi soffre di disturbi del comportamento alimentare, infatti, tende a sviluppare problematiche psicologiche quali depressione, basso livello di autostima, senso di vergogna e colpa, difficoltà a mantenere relazioni sociali e familiari, sbalzi di umore, tendenza a comportamenti manichei e maniacali, propensione al perfezionismo (Istituto Superiore di Sanità).
Un numero sempre più crescente di pazienti affetti da tali problematiche chiede assistenza professionale, pertanto vi è la necessità di creare ulteriori strategie di trattamento che non si limitino ai ricoveri nei reparti di psichiatria o alla nutrizione forzata e che puntino ad un approccio multidisciplinare.
L’equipe che prende in carico la persona con disturbi del comportamento alimentare, dovrebbe comprendere psichiatri, psicologi e nutrizionisti ai quali affiancare, come valido supporto, un percorso musicoterapico che miri all’apertura di canali sensoriali ed emotivi attraverso cui la persona possa rientrare in contatto con il proprio corpo, i vissuti emotivi che la coinvolgono e i comportamenti che ne derivano, riflettendo sull’immagine che ha di se stessa e sulla maniera di relazionarsi con l’altro da sé (L. Guerra)
Spesso, chi soffre di questi disturbi tende a chiudersi, abbandona la volontà di comunicare con gli altri ma anche con se stessi, perdendo così il contatto con il mondo esterno ed interno. In mancanza di una volontà di condividere verbalmente gli stati emotivi interni, la musicoterapia, favorendo una comunicazione senza parole attraverso cui poter veicolare i propri stati emotivi, risulta essere un efficiente canale di apertura , nonché un ponte fra mondo interno e mondo esterno.
Ascoltare o produrre musica insieme al musicoterapista (e con il gruppo), conduce a poco a poco il soggetto nell’ambito dei ricordi, delle sensazioni, dei blocchi mai superati (L. Guerra). In questo modo sarà possibile aprire una finestra sul vissuto della persona e sciogliere quei nodi apparentemente indissolubili che portano tanto disagio, creando un percorso attraverso il quale passare dalla possibilità di esprimere le proprie emozioni alla capacità di decodificarle e regolarle.
Tale percorso sarà strutturato e calibrato sul rispetto delle esigenze e delle risorse della persona che lo intraprende, con estrema attenzione al tipo di disturbo e alle difficoltà che questo comporta. Il musicoterapista valuterà se proporre un intervento individuale, di gruppo, o se combinarli entrambi e se utilizzare una musicoterapia attiva, che prevede l’improvvisazione musicale da parte della persona in interazione con il terapista o gli altri membri del gruppo, recettiva che non consiste nel mero ascolto passivo di musica, ma nel creare le condizioni affinchè si attivino le funzioni logiche dello spirito umano ,(Riemann) o entrambe. La prima, attraverso l’improvvisazione, consente di stabilire un rapporto fra i partecipanti e facilitarne l’espressività, la seconda favorisce la comparsa di reazioni affettive, stimola l’immaginario, e distende corpo e mente. In ogni caso la persona sarà inserita in un contesto accogliente e contenitivo in cui potrà sentirsi libera di esprimere se stessa all’interno di una relazione di aiuto.
Un percorso musicoterapico ben strutturato, può migliorare la qualità della vita, le relazioni interpersonali e le capacità sociali nelle persone con disturbi mentali. Non solo: la musicoterapia può aiutare a promuovere l'autodeterminazione e la collaborazione con i pazienti concentrandosi sui punti di forza e sulla pratica orientata alle risorse.
La letteratura sostiene l’efficacia della pratica musicoterapica nel recupero della salute mentale, ponendo grande enfasi sull'empowerment, ovvero la conquista della consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni, sia nell'ambito delle relazioni personali sia in quello della vita politica e sociale. Maggiore effetto si riscontra in contesti di ricovero ospedaliero, in cui l’autodeterminazione e la libera scelta possono risultare oppresse.
La musicoterapia può offrire una motivazione per il recupero dai disturbi alimentari, la distrazione da pensieri e sentimenti negativi, un senso di autonomia e di espressione creativa. Casi di studio riportano esperienze di pazienti che hanno descritto sentimenti di rinnovata fiducia in se stessi e di empowerment attraverso la partecipazione alla musicoterapia. In uno studio qualitativo che esplora le percezioni del canto di gruppo di otto persone con disturbi alimentari, i partecipanti hanno riportato diversi benefici emotivi e cognitivi, tra cui l'impegno mentale e l'opportunità di prendere le distanze dai problemi della vita.